Trieste e blocco navale

“Vogliamo fare della sicurezza un dato distintivo di questo esecutivo e fermare le partenze illegali spezzando finalmente il traffico di esseri umani nel Mediterraneo”.

Che per risolvere il problema dei migranti basti costruire una barriera immaginaria a qualche miglia nautica dalle coste italiane è un’idea abbasta astratta e semplicista. Servirebbe a poco se non ad aumentare la tensione generale un po’ di tutti e credo, o meglio spero, questo sia chiaro. La questione del blocco navale mi pare davvero essere l’ennesimo tentativo di sviare la questione migranti riducendola ad un piccolo corridoio Africa-Italia, la stessa carenza che nell’immaginario collettivo vede i migranti arrivare solo via mare, ma non è così.
Mi ripeterò rispetto ai post precedenti ma è fondamentale capire che le rotte migratorie sono molte e sono molto diverse tra loro. Ci si alza dal divano quando si sente la notizia di qualche centinaio di persone sbarcate a Lampedusa ma ci si dimentica, o peggio si ignora, che quella è solo una piccola parte di quello che riguarda l’argomento migranti in Europa (e nel mondo).

(si, ho scattato una fotografia a colori)

(si, ho scattato una fotografia a colori)

Ad agosto andai a Trieste che è uno, se non il principale, dei punti di riferimento per chi arriva in Europa attraverso la Rotta Balcanica. Per chi non sapesse di cosa si stratta, riassumendo ai minimi termini, è la via che porta in Europa partendo da paesi come Afghanistan, Pakistan e Iran, passando per esempio attraverso il Nord della Grecia, Macedonia, Bulgaria, Serbia, Bosnia Erzegovina, Croazia e Slovenia. Ovviamente non c’è un vero e proprio percorso prestabilito, le varianti e le modalità della Rotta sono svariate ma accomunate da fattori comuni come confini difficili da attraversare, violenze da parte delle forze dell’ordine o da chi gestisce il traffico illegale di esseri umani e campi profughi mediamente sovraffollati.
Tralasciando, per il momento, quello che accade lungo tutto il percorso, è davvero necessario sapere che solo a Trieste arrivano in media dalle 80 alle 100 persone tutti i giorni. 
Per qualche motivo però la Rotta Balcanica finisce spesso nei titoli di coda nei notiziari, come se citarla bastasse per potersi levare il carico di doverne trovare una soluzione.
Qui, più che in altri dei posti che ho provato a documentare, ho iniziato a provare un po’ di sconforto.

Per tutto l’anno ogni sera, per esempio, i volontari dell’associazione “Linea d’Ombra” prestano servizio in Piazza Della Libertà, davanti alla stazione dei treni. Medicano chi arriva, spesso in condizioni di salute decisamente discutibili tra scabbia, unghie incarnite o addirittura ossa rotte. Tutte conseguenze dirette della Rotta Balcanica. Recentemente poi è stato aperto un centro diurno dove poter ricevere assistenza medica e legale, gestito dall’associazione ICS. L’associazione si occupa di tutela a favore di richiedenti asilo, rifugiati e persone titolari di protezione temporanea o sussidiaria presenti sul territorio e organizza servizi di accoglienza e integrazione. Il centro è stato aperto per cercare di rispondere alle tante richieste che ogni giorno arrivano, ma nonostante il loro enorme impegno, in questa come in tutte le altre iniziative, è difficile far fronte alla domanda.
Sono diverse le associazioni e le realtà di volontariato che si occupano di accoglienza e tutti si trovano in difficoltà a dover affrontare la mole di lavoro necessaria per far fronte all’emergenza che quest’anno più che mai non sembra volersi fermare con l’arrivo dell’inverno. 

L’esempio che credo sia più conveniente utilizzare per poter comprendere la situazione è quello dei campi profughi: poco lontano dalla città, infatti, ne sono presenti due che, come la stragrande maggioranza delle strutture adibite alla prima accoglienza, sono sovraffollati, ed il motivo di questo sovraffollamento, in questi specifici casi ma non solo, è dovuto alle tempistiche troppo lunghe della burocrazia che troppo spesso necessita di diversi mesi per valutare la situazione di ogni singola persona.
E questo rallentamento non fa altro che peggiorare costantemente il sistema di accoglienza e/o rimpatrio, quando necessario.

La soluzione a tutto questo però ci sarebbe, è sicuramente scomoda e comprensibilmente difficile da accettare quando quelle che sembrano essere le uniche priorità sono altre, ma c’è: è necessario investire di più in accoglienza e integrazione, investire in ricerca e soprattuto sull’informazione riguardo ai motivi che spingono ad intraprendere una qualsiasi rotta migratoria e a come queste si svolgono.

È fondamentale creare dei canali di dialogo che permettano perlomeno di comprendere le diverse situazioni di chi nel mondo non ha avuto le nostre stesse possibilità e decide di andarsene in cerca di qualche opportunità in più.
E poco importa il colore politico di chi finalmente si deciderà a farlo, ma sicuramente un blocco navale non è una soluzione valida.
I problemi si risolvono affrontandoli, non aggirandoli, altrimenti continueranno a ripresentarsi trovandoci sempre impreparati e non possiamo più permettercelo.

 
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