¡Hasta la revolución! … ¿siempre? Parte 1, Grecia

È passato del tempo dal mio ultimo articolo, gli scorsi mesi sono stati molto pieni per me perché ho realizzato diverse mostre fotografiche che mi hanno occupato molto più tempo del previsto.

Questo finché non è arrivato il momento di partire per una brevissima trasferta in Grecia, ad Atene. Credo che parlando di Rotte Migratorie la Grecia sia ben preceduta dalla sua fama, l’esempio più vicino che abbiamo è quello del naufragio del 14 giugno 2023 (qui un articolo che ne parla https://www.ilpost.it/2023/07/10/naufragio-grecia-ricostruzione/), avvenuto giusto qualche settimana dopo la mia visita ad Atene.
I miei primi due giorni greci onestamente sono stati un mezzo disastro per via di un fraintendimento tra me e l’associazione italiana che mi ha ospitato. Senza doverla nominare, posso dire che è una delle tante organizzazioni che si occupa di aiuti umanitari, come consegna di beni di prima necessità, in territorio greco: io avevo espressamente chiesto di poter documentare il loro lavoro e mi pareva fossero tutti d’accordo, loro si son limitati a darmi un letto per dormire e pareva pure che io avessi chiesto solo quello. 

Ripeto, è stato un fraintendimento e non c’è nessun problema, però pensavo di essere andato in Grecia a lavorare, se avessi voluto andarci in vacanza non avrei scomodato un’associazione che si occupa di aiuti umanitari, no?

Non tutto il male vien per nuocere fortunatamente. Superato un primo momento di imbarazzo infatti mi viene consigliato di andare a visitare uno dei campi profughi del territorio anche se rigorosamente dall’esterno visto che entrarci sarebbe impossibile, e questo già lo sapevo. Il giorno seguente decido di andarci, d’altro canto lì è possibile almeno incontrare delle famiglie e magari farsi raccontare qualche storia, mi dico. Comunque non avevo altro da fare, valeva la pena provare.

Dopo un’ora e mezza di trasporti pubblici arrivo al campo profughi (che si trova qui https://goo.gl/maps/gkNJ22c81bdbZbM28) e -macchina fotografica alla mano- inizio il mio disperato tentativo di contatto sperando di incrociare almeno lo sguardo di qualcuno. Risultato: il nulla. Dopo circa mezz’ora capisco essere tutta una perdita di tempo e decido di tornare verso la capitale, non fosse che alzando la testa noto un furgoncino bianco che sta consegnando cibo ad alcune persone che vivono nel campo e decido di presentarmi.

A consegnare le buste contenenti beni di prima necessità sono due ragazze, mi presento ma vedendo che loro sono decisamente più indaffarate di me aspetto che finiscano di lavorare per disturbarle. Finiscono e molto gentilmente iniziano a chiedermi chi sono e cosa faccio.

Loro fanno parte di un’associazione spagnola che si chiama S.O.S. Refugiados (https://sosrefugiados.org/en/) e sono volontarie di un progetto che si occupa di assistenza e consegna di beni di prima necessità a diversi gruppi di rifugiati che vivono nel territorio, il tutto finanziato da donazioni. Un paio di giorni dopo vengo invitato a partecipare e fotografare la consegna di cibo fuori da un altro campo profughi e lì riesco a vedere più da vicino la situazione.

Molte delle persone che ricevono aiuti vivono nei campi profughi da anni, chi con figli molto piccoli, chi con problemi di salute che non possono essere curati a causa della mancanza di documenti che garantirebbe la corretta assistenza sanitaria. Tutti in attesa di documenti, tutti speranti di poter mangiare qualcosa di diverso dal solito riso consegnato all’interno dei campi profughi.

Distribuiscono tutte le buste, io finisco le mie chiacchiere e torniamo ad Atene.

È bellissimo che esistano realtà come questa, penso, ma la cosa che più mi fa riflettere è che se il sistema di accoglienza, europeo in questo caso, funzionasse davvero, non ci sarebbe bisogno di far arrivare scatole di pasta o confezioni di farina direttamente dalla Spagna fino alla Grecia, per esempio. Per quanto sia lodevole l’incredibile lavoro di tutti i volontari delle associazioni umanitarie come questa, trovo assurdo il fatto che siano così necessari. Sicuramente da quando ho iniziato questo progetto le mie idee si sono leggermente radicate nel pessimismo di una visione delle cose che oggettivamente sembrano non funzionare mai, e non è una cosa che riguarda soltanto me.

Ma la storia, qui e nella maggior parte dei luoghi che dovrebbero essere adibiti all’accoglienza, è che il cibo è sempre poco, le condizioni sono spesso pessime e le persone non hanno altra scelta se non quella di sperare che un giorno arrivi un pezzo di carta che consenta loro perlomeno di provare a rifarsi una vita altrove.
Capisco sia una visione piuttosto negativa della cosa, ma credo fortemente che le pacche sulle spalle servano davvero a poco e che sia piuttosto arrivato il momento di fare i conti con i fatti, ossia che le politiche di accoglienza (e respingimento) finora adottate non stanno funzionando.

Faccio un esempio forse per alcuni forzato ma a parer mio molto calzante: le carceri. All’interno di una società proiettata nel futuro di un’economia sempre in crescita le carceri non possono servire solamente come castigo. La priorità dovrebbe essere quella di rieducare le persone così che, quando torneranno ad essere parte attiva della società, avranno un posto che gli permetterà di non commettere gli stessi errori, ma non funziona così. Non è certo un segreto che spesso le condizioni dei detenuti siano pessime, costantemente in carenza di personale, compresi gli educatori che dovrebbero avere il compito di fornire i giusti strumenti a chi fino a quel momento non li ha avuti per un motivo o per l’altro. Ed il risultato è che, stando a dati del 2022, almeno in Italia, 2 detenuti su 3 tornano a delinquere (un articolo che ne parla: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/xviii-rapporto-antigone-carcere-il-fallimento-della-pena-due-detenuti-su-tre-tornano-a-delinquere). Essendoci però sempre cose più importanti a cui pensare la questione non si affronta mai, non si investe in questo campo, con la conseguenza che il problema non si risolve mai.
Ecco la stessa situazione riguarda, in scala molto più larga e complicata, la gestione delle rotte migratorie. 

Provo a spiegarmi meglio: chi entra in un campo profughi ci resterà per lunghi periodi, da qualche mese a qualche anno. Il motivo? Le tempistiche dei riconoscimenti sono infinite, mancano traduttori, personale medico, poliziotti. I centri di accoglienza sono costantemente sovraffollati e chi non riesce ad entrarci è costretto a dormire per strada in condizioni ancor più terrificanti con tutte le conseguenze del caso e noi continuiamo a convincerci che “questi non dovevano partire” e “quelli dovevano andare altrove” senza capire che non sono gli ideali a fermare le rotte migratorie, ma piuttosto sono le guerre ed il cambiamento climatico che le causano. Sarebbe il momento di intervenire su quelle cause, giusto per citarne un paio. 

Ora non vorrei dilungarmi troppo, quello a cui voglio arrivare è che, come già ho detto altre volte, questo è un fenomeno che non si può fermare, ma che si potrebbe invece utilizzare e su cui ora è fondamentale investire.

Ecco un articolo che spiega nei dettagli come sarebbe utile investire sull’immigrazione: https://futuranetwork.eu/geopolitica/702-3545/governare-limmigrazione-non-solo-contrastarla-analisi-e-proposte 

Ma tornando alla mia avventura greca: una volta accumulati tutti i miei pensieri e le poche fotografie ho dovuto per forza di cose pensare a come continuare il mio lavoro. Una delle mete non troppo lontane che mi era stata consigliata infatti si trova a Laurio, a circa 2 ore du pullman dalla capitale. Li infatti si trova un’intera palazzina occupata dal gruppo curdo PKK (cos’è il PKK? Lo trovi qui https://www.laluce.news/2019/10/18/cose-il-pkk-spiegato-in-breve/) che offre alloggio alle persone in movimento, generalmente di origine curda.

Speravo di poter raccontare la loro storia e capire a mia volta meglio come ci si sente ad essere parte di un popolo mai riconosciuto e sempre perseguitato, ma una volta arrivato purtroppo, anche questa volta, sono stato gentilmente rimbalzato e credo che la paura principale sia stata data dalla mia macchina fotografica, come spesso accade.

Rientrato decisamente deluso da questa avventura fuori porta rincontro le due ragazze di S.O.S. Refugiados per una chiacchierata su piani futuri e progetti e la proposta che mi viene fatta, dopo una chiamata con l’associazione per valutare una possibile collaborazione, è di partecipare alla Caravana Migranti (https://abriendofronteras.net/category/melilla-2023/): una manifestazione per la pace che si tiene tutti gli anni e che tra giugno e luglio arriverà fino a Melilla, meta che, al momento, sarebbe stata abbastanza complicata da documentare per me. Ma di questo viaggio parlerò nel prossimo articolo.

 
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