Roccella Jonica - seconda parte
Arrivo al porto con un buon anticipo, ma non sono l’unico, altre persone si trovano già lì. In particolare, noto un signore in camicia circondato da telecamere e smartphone: sta facendo una diretta social, è un “Onorevole”. Cerco di non prestargli troppa attenzione ma la sua voce è veramente alta. Le parole che sento provenire dalla sua bocca sono “blocco navale”, “l’Italia che vogliamo” e via dicendo. Preferisco non fare nomi, anche se credo non sia difficile capire di quale fazione politica faccia parte.
Il clima generale è molto teso. Rispetto al mese scorso sono presenti più poliziotti, i quali prontamente mi fermano per chiedermi chi sono. Mostro con fierezza il mio permesso firmato dal Comandante e loro mi raccomandano di non entrare per nessun motivo nel tendone dove si trovano i profughi.
“Certo” penso “come no”.
Per il momento, seguire il loro viaggio in Italia sarebbe troppo complicato (che è poi la scusa con cui nascondo la mia perplessità a riguardo e forse anche un po’ di paura). Riesco invece ad essere presente nel momento in cui vengono consegnati i cosiddetti “fogli di via” ai pochi rimasti al Porto dallo sbarco precedente.
Ciò che più attira la mia attenzione è un uomo di mezza età completamente ricoperto da quella che credo essere scabbia. A volte le condizioni di chi arriva sono davvero spaventose e lui non è da meno. Mi domando come sia possibile abbandonare un essere umano in questo stato. Lo sento discutere con il traduttore mentre gli vengono consegnate le carte.
Riesco a fotografare il suo braccio. Decido di non andare oltre, meglio che me ne vada.
Una ventina di minuti più tardi, incontro quell’uomo sul lungomare. Mi ferma in lacrime chiedendomi cose, ma non parla inglese e io non capisco una parola di quello che dice. Mi mostra un biglietto con un numero di telefono. Non riesco ad avvicinarmi a lui, la scabbia è estremamente contagiosa e chissà quali altre malattie potrebbe avere, non me la sento di rischiare, non me lo posso permettere ora. Non so cosa fare. Provo a dargli indicazioni per raggiungere il paese e la stazione dei treni.
Non ho idea di che fine abbia fatto.
Ripenso spesso a questo episodio: è una di quelle situazioni in cui si spera di non doversi trovare mai nella vita, penso che forse avrei potuto fare di più, non lo so.
Grazie a Beatrice Botticini per avermi aiutato nella scrittura di questo articolo.